Non si va così lontano come quando non si sa dove si va.
Criftoforo Colombo
Apriamo il nuovo anno con uno dei luoghi che hanno accompagnato le avventure di Lucrecia, la protagonista dell’ultimo romanzo di Giovanni Mandruzzato: Huerta: il destino di un’assassina.
Gibilterra
Da Huerta. Il destino di un’assassina. Capitolo 9
Rocca di Gibilterra, regno di Spagna, dicembre dell’AD 1521
Il capitano Pedro de Valdivia della guarnigione di Gibilterra osserva dalla cima della rocca fortificata l’arrivo di un elegante cocchio rosso munito sui lati di uno stemma in oro massiccio e trainato da un robusto cavallo bianco.
Dall’alta torre medioevale dell’homenaje in cima all’antico Castello Moro che sorveglia il passaggio delle navi lungo lo stretto, Valdivia segue il percorso del cocchio dalla città alla fortezza lungo la stradina in ciottoli tracciata dagli arabi sulla rocca calcarea.
Queste prime righe del capitolo nono introducono l’arrivo di Lucrecia Huerta alla rocca di Gibilterra a bordo di un elegante carrozza proveniente dal porto dove è ormeggiata la sua nave. Si tratta della prima tappa europea del lungo viaggio della protagonista proveniente da Cuba, una sosta che non poteva mancare nell’epoca in cui Gibilterra era l’unico anello di congiunzione tra il vecchio e il nuovo mondo.

Conosciuta come Calpe o Colonne d’Ercole in epoca greca e romana, la rocca di 426 metri si ergeva a segnare il confine massimo oltre il quale finiva il mondo antico (troviamo riferimenti negli scritti di Platone).
Abitata e conquistata nel corso dei secoli da una miriade di popoli, Gibilterra era interessante per la sua posizione strategica. Dopo i fenici, i greci, i romani, i vandali, i visigoti e secoli di dominazione araba, la rocca venne annessa al regno di Isabella e Ferdinando durante la reconquista, come Lucrecia stessa ricorda al duca Alfonso di Medina Sidonia durante un colloquio nell’ex castello moresco.
“I Duchi di Medina Sidonia strapparono questo castello ai Mori durante la reconquista. Furono nominati dai Re Cattolici Marchesi di Gibilterra e ne furono i signori assoluti fino a quando, venti anni fa, la città venne incorporata nel dominio di Isabella di Castiglia e strappata al vostro Ducato. Da allora i proventi dei traffici di questi luoghi sono stati incamerati dalla Corona” dice la Huerta, dimostrando di essere aggiornatissima sulle vicende politiche del primo ventennio del sedicesimo secolo. A cosa si riferiva?
Il 2 gennaio 1492, dopo cinque anni di lotta, l’emirato moresco in Spagna cessò di esistere con la cattura di Granada da parte dei monarchi cattolici. Gibilterra fu successivamente usata dai Medina Sidonia (i più importanti nobili andalusi) come base per la cattura spagnola di Melilla nel Nordafrica (1497).
Nonostante la loro impresa, Gibilterra divenne di nuovo proprietà della corona nel 1501 per ordine di Isabella, che le conferì le nuove insegne reali, ancora oggi in uso, in sostituzione di quelle dei Medina Sidonia. Nel decreto reale che indica i caratteri descrittivi delle insegne, Isabella sottolineava l’importanza di Gibilterra come la chiave tra i nostri regni nei mari orientali e occidentali [il Mediterraneo e l’Atlantico]. La metafora era rappresentata nel vessillo da una chiave d’oro appesa al cancello anteriore di una fortezza merlata. Il mandato impose a tutti i futuri monarchi spagnoli di detenere e conservare la suddetta città per se stessi e in proprio possesso, e che nessuna alienazione di essa, né di parte di essa, né della sua giurisdizione […] potrà mai essere eseguita dalla corona di Castiglia.

Un’ultima curiosità storica riguarda una particolare spiaggia, dove ho collocato la taverna in cui i compagni di viaggio di Lucrecia attendono il ritorno della loro leader dal castello moresco.
Alcune ore più tardi, Verrazzano, Pregént, Ben Ezra, Fleury e Tayma siedono a un tavolo della Taberna de la Roca, sulla costa orientale della rocca vicino alla Caleta, una spiaggia di Gibilterra usata un tempo dagli immigrati genovesi per riparare le navi.
Allo scoccare della mezzanotte il taverniere, speranzoso di andare finalmente a dormire, si rivolge agli ultimi avventori rimasti nel locale:
“Signori, siamo in chiusura. Vi auguro la buona…”
“Un altro giro, oste della malora!” tuona Pregént, costringendolo a tornare al banco con l’aria rassegnata di un condannato al patibolo.
C’erano i genovesi a Gibilterra? Assolutamente. I gibilterrini usano come lingua principale l’inglese, ma molti usano lo Llanito, un miscuglio tra la loro lingua madre, lo spagnolo e il genovese. Quest’ultimo venne importato dall’ampia colonia di liguri trasferitisi qui a metà del 700 e che per un lungo periodo hanno costituito quasi la metà della popolazione.
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