Iktàn e i Maya

Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.


KHALIL GIBRAN

Scortato da Jana, Marcos, Sicher e da una delegazione olmeca, Francisco parte per Xicalànca, un villaggio maya situato a nord-est lungo la costa. Durante una sosta serale, il capitano chiede a Eleuia:

“Puoi raccontarmi qualcosa sui Maya?”

“La loro civiltà un tempo fu la più potente dell’Unico Mondo. Furono grandi costruttori di città, ma attualmente vivono in villaggi di capanne come il nostro […] Tuttavia, nonostante il ritorno a una vita più semplice, i Maya sono famosi per i loro guaritori e artigiani, soprattutto quelli che lavorano le pietre”.

Durante le prime settimane di ambientamento nel Nuovo Mondo sconosciuto, Francisco viene in contatto con gli abitanti di parte della costa atlantica del Messico: gli Olmechi, che lo hanno accolto naufrago, e poi i Maya, un popolo che troppo spesso viene superficialmente identificato con quello degli Aztechi. Per essere più chiaro, sarebbe come confondere gli antichi Greci con gli antichi Romani. In realtà gli Aztechi invasero il Messico secoli dopo l’arrivo dei Maya, soggiogarono le altre civiltà e fondarono l’Impero che fu poi distrutto dagli Spagnoli di Cortés. Proprio come i Romani fecero con i Greci, gli Aztechi sconfissero militarmente i Maya, ma ne assorbirono la cultura quasi totalmente, compresa la religione e i famigerati sacrifici umani.

Gli antichi Maya svilupparono una civiltà nota per l’arte, l’architettura, l’oreficeria, la medicina, i raffinati sistemi matematici e astronomici e per l’unico sistema conosciuto di scrittura pienamente sviluppato nelle Americhe precolombiane e adottato dagli stessi Aztechi. La civiltà dei Maya si sviluppò nella penisola dello Yucatàn, sugli altopiani della Sierra Madre che si estendono dallo stato messicano del Chiapas fino a tutto il sud del Guatemala, in Honduras, El Salvador e sulle pianure meridionali del litorale del Pacifico. (Dalla postfazione de La Città Perduta degli Aztechi, Nda).

Le rovine di Palenque, Copàn, Chichén Itzà e Tulum, solo per citare le più celebri, testimoniano la grandezza e la maestosità dell’epoca della dominazione Maya sull’America Centrale.

Pakàl (il capo della comunità Maya a cui Francisco porta un carico di semi di cacao in dono, nda) introduce un guerriero di statura media con i capelli corti e il corpo magro e muscoloso.

“Mi chiamo Iktàn. Il mio signore mi ha ordinato di condurvi a Tenochtitlàn”.

“Dove hai imparato la mia lingua?” chiede Francisco, sorpreso.

“Sono stato schiavo della tua gente su un’isola chiamata Giamaica due anni fa. Ho guidato una spedizione del mio padrone bianco su queste terre in cerca di perle. Lui ha bruciato un villaggio e la mia gente si è vendicata, da allora sono tronato libero. Accettate il mio aiuto? Conosco molto meglio degli Olmechi le montagne dei Mexica e tutte le strade per Tenochtitlàn”.

“Sii il benvenuto tra noi, Iktàn” risponde Francisco con una stretta di mano.

Iktàn, un giovane maya intelligente e coraggioso, guiderà dunque Francisco e i suoi compagni nel lungo viaggio dalla costa atlantica fino al cuore dell’Impero Azteco, sul vasto altipiano su cui sorge l’odierna Città del Messico. Si tratta di un personaggio di fantasia, sebbene la storia ufficiale delle prime esplorazioni del nuovo continente menzioni diversi casi di indigeni presi in ostaggio dai nuovi arrivati e viceversa. Cortés, per esempio, credeva di essere il primo europeo ad avere messo piede nell’Impero Azteco quando scoprì che due uomini barbuti erano prigionieri di un capo tribù maya. I due reduci da spedizioni disastrose precedenti, furono identificati come Gerónimo de Aguilar, un religioso sopravvissuto a un naufragio nel 1511, e Gonzalo Guerrero, un marinaio di un’ignota spedizione.

Infine, lo stesso Cortés utilizzò come interprete una giovane ragazza maya presa come prigioniera sull’Isla Mujeres, il cui nome è sconosciuto, ma che venne soprannominata dagli spagnoli la Malinche.

Questi e altri dati storici minori hanno così permesso alla mia immaginazione di fornire a Francisco lo stesso aiuto, sotto forma di guide ed interpreti, che i conquistadores trovarono dopo il loro sbarco.

Qualcuno potrebbe dire che il mio protagonista si fa ben volere troppo facilmente dai nativi, ma non è così.

Basta leggere Il conquistatore di Hispaniola QUI per capire che se i conquistadores fossero stati illuminati come lui, molti genocidi sarebbero stati evitati.

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