La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero; è la fonte di ogni vera arte e di ogni vera scienza
Albert Einstein
“Intrigo a Milano” è un noir storico ambientato nel 1816 in una Milano occupata dagli austriaci a seguito della caduta di Napoleone e del Congresso di Vienna. Milano non è solo la cornice in cui agiscono i due protagonisti, il tenente di polizia Ziani e la misteriosa contessa Irina Varga, ma è in un certo senso l’anima pulsante dell’intera trama con le sue bellezze, le sue contraddizioni e i suoi misteri. Ogni luogo descritto aggiunge un tassello alla trama dell’intrigo e, spesso, un personaggio realmente esistito in cui Ziani e Irina si imbattono di volta in volta. Qualche esempio? Stendhal e lord Byron, solo per citarne due. E dove possiamo incontrare un appassionato di storia dell’arte come Stendhal se non alla Pinacoteca di Brera, istituita da pochi anni da Napoleone stesso? Ecco un passaggio dell’incontro tra i due personaggi.

Da Intrigo a Milano capitolo 13.
Ziani sorride alla vista di Napoleone raffigurato come Marte. Addentrandosi nella galleria, scorge l’agente Biraghi e infine Henri Beyle ( Stendhal, ndA ), così immerso a prendere appunti sul Cristo Morto da non accorgersi del suo arrivo.
«Buon pomeriggio, monsieur» dice Ziani, affiancandolo.
«Oh, tenente, buon pomeriggio a voi. Scusate, finisco di scrivere l’ultimo commento e sono subito a disposizione.»
«Davvero incredibile, se mi sposto la figura del Cristo pare quasi contrarsi e accorciarsi a seconda del punto da cui lo guardo. Mi trasmette la sensazione di portarmi direttamente dentro la scena, in piedi davanti a lui come quando il mio amico dottor Vercesi mi mostra la vittima di un omicidio.» commenta Ziani.
«E’ davvero impressionante. Guardate le piaghe lasciate dai chiodi sui piedi e sulle mani, il torace rigonfio, il capo abbandonato, questo colore opaco e quasi monocromo della tempera e la luce un po’ livida che colpisce il corpo da destra definendone le forme e i piani prospettici, infine l’ambiente cupo e spoglio.»
«E’ un omaggio alla morte!» conclude Ziani.

Si accorge d’improvviso che Beyle è diventato pallido come un lenzuolo. La sua fronte suda copiosamente.
«Scusate, mi gira la testa, posso appoggiarmi a voi, tenente? Mi sento …»
«Mettetevi steso, monsieur, che vi sollevo i piedi. Lasciate fare a me.»
Biraghi, appostato in un angolo della sala, interviene in aiuto al suo superiore.
«Non è niente di grave, solo un capogiro e un po’di tachicardia. Il polso sta già tornando regolare» commenta Ziani, indicandogli di allontanarsi.
«Siete certo di non avere bisogno di me, signore?» chiede il giovane agente.
«Prima di scomparire di nuovo, porta dell’acqua.»
Dopo essersi seduto e avere sorseggiato l’acqua, Beyle comincia a riprendere un po’ di colore e a ricordare di essere in compagnia del tenente.
«Non so some ricompensarvi per …»
«Potete farlo raccontandomi la verità sul vostro amico Octave Marais.»
«Non capisco, io …»
«Voi avete paura, Henri, si vede lontano un miglio. L’immagine del Cristo Morto, quei colori superbamente utilizzati da Mantegna per raffigurare un morto steso su una lastra sepolcrale di pietra rossastra, il corpo avvolto nel sudario, il vasetto degli unguenti sulla destra, voi avete visto l’immagine della vostra morte.»
«Non è vero, io non capisco dove …»
«Voi avete servito l’esercito francese negli uffici, io quello austriaco in prima linea. Ho visto troppe volte nella mia vita la faccia delle persone a tu per tu con la morte. Voi avete paura di essere ammazzato, proprio come è successo a Marais!»
Non poteva mancare, ovviamente, il malessere che fu poi definito “sindrome di Stendhal” come non poteva mancare il collegamento tra il capolavoro di Mantegna e il caso di omicidio su cui il protagonista sta indagando.
Foto eseguite dall’autore Giovanni Mandruzzato alla Pinacoteca di Brera.
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