Mi dicono che al mondo ci sono persone non attratte dalle mappe; mi riesce difficile crederlo. I nomi, l’aspetto delle foreste, i percorsi delle strade e dei fiumi, il tracciato preistorico dell’uomo ancora chiaramente riconoscibile su per le colline e giù nelle valli, i mulini e le rovine, gli stagni e i traghetti, e magari il Monolite o il Circolo Druidico sulla landa: tutte riserve inesauribili d’interesse per chi abbia occhi per vedere e un briciolo d’immaginazione per lavorarci su. Ognuno ricorda di aver posato il capo sull’erba quando è stato bambino, e di aver sbirciato dentro quella foresta infinitesima, vedendola popolarsi di eserciti fatati
R. L. Stevenson
Piri Reis
Il Capitolo 2, dal titolo Tenerife, introduce un nuovo intrigante personaggio della trilogia delle avventure di Francisco de Mendoza.
Una ventina di uomini armati di moschetto usciti dalla capitaneria circondano il governatore e la sua scorta. Indossano un’uniforme rossa di panno e una cuffia bianca di lana sul capo con un lungo lembo cadente sulle spalle. Il loro comandante si rivolge alle guardie spagnole con eguali garbo e fermezza:
“Signori, come ho detto a sua eccellenza calmatevi e gettate le armi a terra senza opporre resistenza. Non siamo qui per farvi del male”.
Ha un viso olivastro bruciato dal sole con una lunga chioma nera e una barba curata di uguale colore che nasconde solo parzialmente il suo sorriso gioviale. Disarmati gli uomini della scorta, tende la mano al governatore e lo invita a camminare al suo fianco lungo la banchina come un vecchio amico ritrovato.
“Permettetemi di presentarmi, sono Haci Ahmed Muhiddin Piri, ma tutti, amici e nemici, mi conoscono come Piri Reis. Sono onorato di incontrare un conquistador della vostra fama, don Javier Alonso Fernandez de Lugo”.
“Voi sareste… il terrore del Mediterraneo orientale?”
“Non credevo di essere celebre quanto voi, amico mio, comunque non preoccupatevi per la vostra incolumità. I miei giannizzeri sono qui solo a vegliare sulla mia e vostra salute. Se voi e i vostri uomini continuerete a collaborare, nessuno si prenderà un malanno, una coltellata o una schioppettata”.
Questo spietato pirata, al di là dei modi cortesi e affabili che gli ho attribuito, non solo è realmente esistito ma è conosciuto a tutti gli appassionati di archeologia misterica e di oggetti storici misteriosi su cui la scienza ufficiale non è in grado di fornire spiegazioni convincenti.
Sulla postfazione al romanzo, ci sono le informazioni di base sul Piri Reis storico.
Piri Reìs (1465 circa– 1553-4) fu capitano navale ottomano e in seguito ammiraglio (Reʾīs significa “comandante”), ma è più noto per essere stato l’autore di un Kitāb-i bahriyyè (“Libro del mare”), un portolano del Mediterraneo, e soprattutto di una “mappa del mondo”, oggi conservata nel museo del Topkapi, che riporta con notevole precisione le coste dell’Africa e abbastanza bene quelle del nuovo mondo.
Il frammento della mappa del mondo di Piri Reìs è stato utilizzato in varie pubblicazioni per sostenere che la conoscenza della geografia mondiale mostrata nella mappa, e, in particolare, quella delle coste dell’America, sarebbe stata più approfondita di quella che viene in genere attribuita all’epoca anche precedente alla scoperta delle Americhe da parte di Colombo.
Nessuno storico sa per quale motivo la mappa fosse nelle mani di un turco che non ha mai attraversato l’Atlantico, né come l’autore sia riuscito a tracciare le coste sudamericane con tanta precisione. Ovviamente nel romanzo c’è una spiegazione, ideata al servizio esclusivo della narrazione dell’avventura
Il Piri Reis del romanzo, oltre che il miglior cartografo al mondo, è un appassionato collezionista di mappe (molte antiche) recuperate nell’arco della vita tramite attività piratesche e no.
Aisha
Dopo un bivio, il gruppo si dirige a ovest lungo un sentiero brullo reso impervio dalle pietre e dalla sterpaglia in direzione delle piramidi di Guimar, visibili per la loro altezza di circa dodici metri. Un uomo alto e possente con una folta barba nera e i capelli lunghi si rivolge a Piri Reis durante il cammino:
“Chissà se Aisha e i suoi tuareg sono già arrivati alle piramidi”.
“Dipende se hanno intercettato i nostri nemici, Radu”.
“Non capisco perché ci siamo alleati con quegli spaventapasseri velati, per di più comandati da una donna, un essere debole e inferiore per natura”.
“Prova a dirglielo, e ti vedrò mangiare la polvere” replica Piri Reis.
Il personaggio di Aisha viene inizialmente introdotto da un dialogo tra Piri Reis e il suo luogotenente. Dal breve dialogo si intuisce già che si tratta di una donna che il pirata conosce bene e, a differenza del suo giannizzero, non sottovaluta. Quello che succede poco dopo, tuttavia, supera ogni immaginazione.
Gli sembra ormai di poter toccare le piramidi di Guimar alla fine del sentiero quando vede una lancia rudimentale dalla punta acuminata scagliata dalla cima di una roccia trafiggere il marinaio in testa al gruppo.
Una cinquantina di Guanci (indigeni delle Canarie, ndA) balzano sugli Ottomani dall’alto di un crinale e li aggrediscono a colpi di lancia, ascia e pugnale. I
Riparatosi dietro le prime pietre del complesso, Piri Reis esplode un colpo di moschetto sul viso di un assalitore, ne abbatte un altro paio con la scimitarra, ma viene circondato da un terzetto proveniente dall’interno della piramide. Sta per invocare Allah di accoglierlo in paradiso quando una guerriera incappucciata avvolta in un mantello blu armata di una scimitarra corta si avventa sui Guanci con la velocità e la ferocia di una pantera affamata. La donna decapita in un istante il capo del terzetto, un uomo alto e tarchiato con i capelli e i baffi rossi armato di una spada sottratta a un pirata. I Guanci, vedendola sventolare con occhi fiammeggianti la testa del loro condottiero, si danno alla fuga urlando a squarciagola il nome di Aisha, la demone velata del deserto del Sahara.
Dopo la strage, un silenzio spettrale cala sulla valle. Piri Reis, asciugandosi il sudore, sorride alla sua misteriosa salvatrice.
“Tutto bene, Haci?” chiede la donna. Con le movenze di un discobolo, getta a valle la testa mozzata del capobanda nemico. Piri Reis osserva il macabro trofeo rimbalzare tra i sassi del sentiero come una palla di gomma.
Gli indigeni, dunque, fuggono di fronte a una presunta Jinn, parola araba tradotta con l’italiano “genio”.
Si narra nel Corano che queste creature sovrannaturali si muovano a metà fra il mondo angelico e quello umano, pur essendo differenti sia dagli uomini che dagli angeli. Di fatto contrariamente ai primi, originati dalla terra, e ai secondi che nascono dalla luce, i Jinn sono stati creati dalla fiamma di un fuoco senza fumo.
«Creammo l’uomo con argilla secca, tratta da mota impastata. E in precedenza creammo i Jinn dal fuoco di un vento bruciante». (Corano XV. Al-Hijr, 26-27)
Ma i Jinn, pur essendo creature appartenenti al mondo sovrasensibile, possiedono – per volontà stessa di Allah – alcune caratteristiche in comune con l’essere umano come l’intelligenza, la capacità di discernimento, il libero arbitrio e, di conseguenza, la possibilità di scegliere tra il bene e il male. In base a quest’ultima considerazione, secondo la tradizione, si crede che essi abbiano per lo più un carattere maligno. Aisha è uno dei tanti Jinn che popolano l’immaginario popolare del Marocco. Si manifesta sotto sembianze umane, spesso come una donna bellissima e malvagia. I più attenti lettori della trilogia intuiranno quale personaggio si cela dietro il suo cappuccio.
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