RICERCHE DA SCRITTORE – TENOCHTITLAN, LA CAPITALE AZTECA

L’eretico non è colui che brucia sul rogo, ma colui che lo accende.

PROVERBIO AZTECO

Dal CAPITOLO XI de “La Città Perduta degli Aztechi”.

La chiatta si allontana dalla strada rialzata e punta verso il porto, situato in una delle numerose isole che formano la capitale dell’Impero Azteco. Il buio pesto di una notte nuvolosa e priva di luna impedisce a Francisco di distinguere le montagne e le sagome delle case, dei palazzi o dei templi, ma d’improvviso la sua attenzione viene catturata da una serie di punti luminosi che si accendono in rapida successione.

“Stanno accendendo le torce sulle finestre, nelle vie, lungo i canali, sulle terrazze e sui tetti degli edifici. Come vedete, ogni fascio di luce splende due volte perché si riflette sulle acque scure del lago. Da qui potete vedere che anche le strade rialzate di pietra che collegano l’isola alla terraferma sono illuminate da lanterne appese a pali disposti a intervalli regolari lungo la via” spiega Iktàn.

Francisco cerca istintivamente Jana con lo sguardo. La vede a prua, ipnotizzata dal gioco di luci che si riflettono sui suoi grandi occhi castani. La raggiunge di soppiatto, la bacia sul collo e le cinge la vita in un abbraccio caldo.

“Cosa ci riserverà questa meraviglia che mi attira come un’ape sul miele? Una nuova grande esperienza da condividere o una brutta fine?” sussurra Jana. “Qualunque cosa sarà, la vivremo” risponde Francisco senza incertezze. Jana si lascia accarezzare i capelli come una gatta che fa le fusa. Per la prima volta i loro cuori condividono l’emozione della scoperta di un nuovo mondo di cui avevano sentito solo qualche cenno e che credevano selvaggio e inaccessibile. Entrambi tendono le mani verso le luci ancora lontane, come a volerle toccare per rendersi conto di vivere non in un sogno, ma nella pura realtà.

Come si può descrivere Tenochtitlàn, una Venezia del ‘500 costruita in mezzo a un lago a 2000 metri di altitudine di cui non è rimasto più niente? Chi si reca a Città del Messico non vedrà mai, dal finestrino dell’aereo, un panorama notturno come quello delle due figure scaricate dal web e il museo archeologico della capitale, nonostante i reperti unici al suo interno, potrebbe trovarsi in qualunque luogo.

Per mischiare al meglio la fantasia e una realtà che non esiste più, l’autore ha letto diverse descrizioni, sia sul web che su cartaceo, tratte dalle testimonianze dei colonizzatori spagnoli, dei missionari e dei nativi convertiti. Le immagini virtuali del web, inoltre, hanno avuto un ruolo decisivo a ispirare il primo incontro “notturno” tra i protagonisti dell’avventura nel Nuovo Mondo inesplorato e la maestosa capitale di un Impero sconosciuto. 

Con le stesse ricerche l’autore mostra i loro primi passi all’interno della città, inizialmente con una panoramica del porto e poi con una descrizione, eseguita in prima persona dallo stesso Francisco, del mercato locale più grande in modo che il lettore possa seguirlo e immaginare, forse, di prendere parte all’avventura e alla scoperta.

Dal CAPITOLO XI de “La Città Perduta degli Aztechi”.

Il porto lacustre di Tenochtitlàn, ben illuminato dalla luce delle torce, si presenta agli occhi di Francisco come una piattaforma di pietra grigia ben più grande del porto fluviale di Siviglia da cui si diramano, come le dita di una mano, numerose banchine dal pavimento in legno munite di solidi pali per l’ancoraggio delle chiatte e delle canoe. Francisco nota subito un gruppo di pescatori che scaricano il pesce in un magazzino ancora aperto, poi si concentra su case più piccole, forse di pescatori o di funzionari del porto, infine scorge una serie di locali muniti di piccole verande dove la gente mangia e beve in compagnia. Sono tutti edifici di arenaria di colore grigio o talvolta giallastro, di forma quadrangolare a spigoli acuti, spogli e privi del primo piano. Mentre i rematori fissano la chiatta ai pali con due robuste funi di canapa, l’occhio vigile di Jana nota un gruppo di guerrieri a torso nudo armati di lancia in arrivo dalla strada rialzata. I loro capelli sono lunghi e neri e la carnagione è olivastra. Il loro passo di marcia è piuttosto veloce, nonostante la bassa statura.

Ogni passo rappresenta per Francisco e Jana una scoperta, un’emozione, la meraviglia alla vista di un mondo nuovo e pieno di sorprese, destinate a rimanere indelebili nella loro memoria. Quella stessa notte Francisco scriverà sul diario:

“Tenochtitlàn è più grande di qualunque città che abbia mai visto. Il fiabesco spettacolo di luci che arrivano fino alla cima della montagna oltre il lago, la sontuosità delle sue costruzioni e delle sue ampie strade rende Siviglia e Cordova simili a due paesini di campagna. I palazzi a due piani e i templi a forma piramidale, fatti in una pietra brillante come l’argento e sconosciuta a noi spagnoli, sono riccamente decorati di blu e rosso. Al mio arrivo ho visto le strade illuminate gremite di gente indaffarata o a passeggio, nonostante la notte sia fredda in gennaio a questa altitudine. Lungo la via per il Palazzo Imperiale ho notato un mercato grande almeno il doppio di quello di Siviglia, brulicante di persone nonostante l’ora. Le bancarelle sono come le nostre, ma le merci mi sono in gran parte sconosciute, a parte il cacao e la gomma. In particolare, sono affascinato dalle pelli maculate di giaguaro e dai colori delle piume di un uccello chiamato “quetzal”: verde smeraldo, rosso e bianco. Il mercato è così affollato e la gente così indaffarata nelle trattative e nei baratti da non accorgersi della presenza, in mezzo a loro, di Jana, Miguel e me, i primi europei nella storia a recarsi a rendere omaggio all’Imperatore degli Aztechi”.

Per scoprire il romanzo, clicca QUI

Immagini dal WEB.

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