LE TRAME ATTRAVERSO I DIALOGHI. EFFICIENZA NARRATIVA (parte 2)

“Perché si uccidono le persone che hanno ucciso altre persone? Per dimostrare che le persone non si devono uccidere?”

Norman Mailer

Da “Intrigo a Milano”


Milano, 22 ottobre 1816, ore 5. Ospedale Maggiore
Mentre Ziani indugia sugli ultimi passi, un giovane medico biondo e magro con lo
sguardo spiritato gli tende la mano sulla soglia della camera mortuaria.
«Mancavi solo tu per concludere questa bella nottata. Cosa vuoi? Un altro rimedio per
le tue sbronze? Quando la smetterai di rovinarti con le tue mani?»
«Ciao Vercesi, anch’io sono felice di rivederti. Sentivo la nostalgia tua e di questo
posto, evidentemente. Sono qui per l’uomo del tombone di San Marco.»
«Arrivi tardi, non è più molto presentabile e, in memoria dell’ultima volta che hai
assistito a un’autopsia, ti consiglio di non varcare questa porta»
«Allora hai già finito, Dio sia lodato. Raccontami tutto, mi fido ciecamente del tuo
rapporto senza bisogno di vedere il cadavere. Non sopporto le autopsie»
«Eppure lo sai cosa dicono nelle caserme: se non sai stare al gioco …»
«…non dovevi arruolarti, lo so bene! Allora cosa mi dici del suicida?»
«Da vivo doveva essere un tipo molto originale e pieno di inventiva, direi uno spirito
creativo» commenta il dottore.
«Cosa intendi dire?»
«Intendo dire che non ho mai visto nessuno tentare di suicidarsi pugnalandosi due
volte alla schiena, estrarre la lama e, deluso per il fallimento del tentativo, gettarsi da un
ponte per sfracellarsi su un pilone» risponde Vercesi.
Introduce l’ospite in uno stanzone semibuio pieno di provette e preparati chimici
disposti su un bancone in modo apparentemente caotico e totalmente privo di senso.
Ziani prende posto su uno sgabello di legno, il medico si sfila il vestimento e gli porge
un vassoio pieno di oggetti di vario genere.
«Gli effetti personali del paziente.»
«Cosa puoi dirmi sulla sua morte?»
«Avrei potuto dirti di più di quanto ho dedotto, se avessi potuto esaminarlo sul luogo
del delitto!» commenta Vercesi, bevendo un bicchiere di latte.
«La direzione generale di polizia sta lavorando per riconoscere ufficialmente la tua
specialità, abbi fede.»
«Aspettiamo Vienna, allora! Beh, torniamo al suicida creativo: come ti dicevo si è
pugnalato due volte, non una, alla schiena e poi, non contento del risultato, dopo essersi
estratto il pugnale, si è gettato nel tombone di San Marco sfracellandosi sulla base di uno
dei piloni del ponte.»
«Quindi chi lo ha ucciso ha tentato maldestramente di inscenare un suicidio.»

«Non tanto maldestramente, sai quanti casi simili sono avvenuti a Pavia?»
«No, quanti?»
«Almeno dieci da quando sono uscito dall’Università! I casi vennero chiusi perché
affidati a funzionari incompetenti e lavativi o … ubriaconi.»
«Proprio come me!» esclama Ziani, ridestandosi d’improvviso dal torpore.
«Non volevo offenderti, Marco, ma tutti in polizia sanno che bevi per cui, se ti hanno
affidato questo caso, vogliono che tu lo chiuda come suicidio.»
«Brutti bastardi» sussurra Ziani fissando il muro bianco dello studio.
«Allora che cosa faccio? Lo archivio come suicidio omettendo le pugnalate?»
«Neanche per sogno, dottore. Scrivi la verità, il resto saranno cavoli miei. Vediamo
gli effetti personali» dice Ziani, investito di un’improvvisa energia.
Le parole di Vercesi gli hanno dato la motivazione per ritrovare uno scopo nella vita.

Questo estratto del lungo dialogo tra il tenente Ziani e il medico legale Vercesi
(capitolo terzo) contiene una serie di informazioni importanti:
1) Il tenente Ziani è un alcolizzato
2) Il caso di suicidio si è trasformato in omicidio
3) La causa della morte della vittima non è la caduta dal ponte ma la doppia coltellata
alla schiena
4) La Medicina Legale non è ancora una scienza ben definita in Europa, per cui non è
prevista la presenza di un medico legale sulla scena di un crimine
5) L’indagine è stata affidata a un alcolizzato da qualcuno che ha tutto l’interesse ad
archiviarla in fretta e furia.


La comunicazione attraverso i personaggi e non tramite una lunga spiegazione
dell’autore rende la trama più scorrevole e, forse, interessante.
L’autore utilizza molte volte i discorsi diretti per fornire informazioni utili, come nel
caso di una conversazione tra la contessa Varga (protagonista femminile) e un nuovo
personaggio presentato proprio durante il dialogo (capitolo diciassette).

Milano, 28 ottobre 1816, ore 21,30. Caffè del Giardino
Irina Varga ha appena terminato di cenare in un locale aperto da poco sul lato destro
del Teatro alla Scala che sarebbe diventato in breve tempo il più elegante della città con il
nome di Caffè Cova.


… sorseggia un caffè quando vede avvicinarsi due guardie armate che scortano un
uomo alto e magro di circa sessant’anni, chiaro di carnagione e di capelli con lo sguardo
indagatore, vestito con un elegante soprabito nero con rari bottoni d’oro.
«Cara contessa, siete più bella che mai!» dice il nuovo entrato con un inchino.
«Accomodatevi, Joseph. Non ci vediamo da tanto tempo, come state? E vostra moglie
Bonne-Jeanne?»
«Vi ricordate bene di me!» risponde l’uomo, baciandole la mano.

«Per una povera donna arrestata a Parigi con l’accusa di furto di beni preziosi dello
Stato è impossibile scordarsi di Joseph Fouché, ministro di Polizia, conte dell’Impero di
Francia e duca d’Otranto.»
«Eppure quella povera donna fu il più grande insuccesso della mia carriera.»
«Insuccesso? Non è colpa vostra se ero innocente e avete preso un granchio.»
«Andiamo, mia cara, tutti e due sappiamo bene che siete voi l’autrice del furto dei
codici miniati. L’insuccesso per me non fu l’errore di giudizio, ma non avere trovato, per
la prima volta nella mia brillante carriera, le prove per incriminarvi.»
«Quindi mi odiate, Joseph?» chiede lei con un sorriso malizioso.
«Al contrario, ho per voi una stima, e persino un affetto, incommensurabili.»
«Allora non siete qui per la rivincita?»
«A cosa? Alle nostre partite a carte durante la vostra settimana di detenzione?»
«Perché no? Siete un ottimo giocatore, duca. In che veste siete a Milano?»
«In quella di privato cittadino in esilio perpetuo dal suo paese, come tutti coloro che
votarono la morte di Luigi XVI. Nessuna corte europea mi ha voluto, dati i miei trascorsi
bonapartisti, tranne gli austriaci.»
«Siete qui per la mia compagnia o per rinverdire i vecchi tempi?»
«Voi lo sapete già!» risponde Fouché, sorseggiando del liquore.
«Da dove iniziamo?» risponde la contessa con gli occhi che le brillano.
«Dal nome del poliziotto che sta cercando di incastrarvi per il Caso-Marais.»


Nel discorso diretto i due personaggi ci forniscono sia informazioni che interrogativi:
1) L’identità del nuovo personaggio entrato nel Caffè sotto scorta (Joseph Fouché è
un personaggio storico, fondamentale per la Francia nel ventennio di governo
napoleonico).
2) In qualità di Ministro di Polizia (degli Interni, direbbero oggi), Fouché indagò
sulla enigmatica contessa per furto di beni dello Stato Francese.
3) Fouché arrestò la Contessa, ma fu obbligato a rilasciarla per mancanza di prove
sebbene non avesse mai avuto dubbi sulla sua colpevolezza.
4) Il rilascio della Contessa fu l’unico smacco nella brillante carriera di “sbirro”
dell’ex ministro.
5) Dopo la caduta di Napoleone, Luigi XVIII, fratello minore del monarca giustiziato
sulla ghigliottina, divenne nuovo re di Francia. Il suo governo decretò l’espulsione
dei funzionari dello Stato che, ventitré anni prima, condannarono a morte Luigi
XVI e Maria Antonietta. Fouché era uno di loro.
6) Entrambi i personaggi lasciano capire di essere implicati nell’indagine di Ziani
che ha dato inizio all’ “intrigo a Milano”, ma quale sarà il loro ruolo nella
vicenda? Perché Fouché vuole il nome di chi indaga su Irina a Milano? La
Contessa e l’ex sbirro francese saranno alleati o, ancora una volta, antagonisti?

Se volete scoprire di più su Intrigo a Milano, cliccate QUI.

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