Il romanzesco è la verità dentro una bugia.
Stephen King
Come lettore accanito di romanzi nei ritagli del (poco) tempo libero che avevo, ho sempre prediletto gli autori capaci di mantenere la mia attenzione sulla pagina di fronte a me, e soprattutto, la mia curiosità sulle pagine successive ancora da aprire.
Quando ho cominciato a scrivere il mio primo romanzo ero talmente rapito dalla trama da non accorgermi, mentre scrivevo, di quanto i singoli capitoli fossero più o meno scorrevoli. Nella fase di editing, eseguita dopo un tempo sufficiente a dimenticarmi gran parte dei dettagli del manoscritto, ho eseguito le modifiche di forma del testo dal punto di vista del lettore e non dell’autore, cercando di individuare i punti di forza e quelli di debolezza su cui lavorare.
Mi sono accorto che la scelta di coniugare i verbi al presente e non al passato remoto, da alcuni criticata, è molto utile nel inquadrare “visivamente” i personaggi nelle loro parole e azioni come di fronte a un film. In effetti, mentre scrivo una scena io la immagino al presente e non al passato e riesco così a renderla al meglio secondo le mie capacità.
In questo tipo di contesto, dunque, i dialoghi assumono un’importanza ancora maggiore che in un romanzo scritto al passato. Nella scena del film, infatti, i personaggi agiscono e … parlano.
Anche questa scelta non è stata esente da critiche, tuttavia i dialoghi si sono rivelati, anche secondo le giurie che mi hanno conferito tre premi letterari nell’ultimo anno, ben strutturati non solo nel connotare i personaggi ma anche nel descrivere particolari che, in forma indiretta, appesantirebbero lo scorrimento della trama.
In parole povere, in alcuni momenti non è la mia voce fuori campo a raccontare un fatto ma la voce di un personaggio a conoscenza di quel fatto. Ecco due esempi tratti dai due romanzi sul Nuovo Mondo:
Da “Il Conquistatore di Hispaniola”
Gli esploratori, salutati i compagni, si addentrano a piedi nella folta giungla alla ricerca del tempio nascosto. Francisco li vede presto scomparire nella macchia.
“Avete ordini per noi, capitano?” chiede Ramòn Carrasco, avvicinatosi in quel momento.
Sì, Ramòn. Fai un giro con Linda nel bosco qua intorno e vedi se si può cacciare qualcosa. Abbiamo razioni di cibo per soli tre giorni e dobbiamo rimpinguare le scorte di viveri”.
“Con piacere, ma ecco… io… avrei una domanda un po’ delicata da farvi”.
“Ti ascolto”.
“Siete proprio sicuro che le leggi di questo posto mi consentano… volevo dire il governatore ci ha autorizzati a… in altre parole…”
“Ho capito e ti rispondo subito: non finirai di nuovo nelle patrie galere per bracconaggio perché il governatore Colòn non ha, a differenza di sua maestà il re, una riserva di caccia personale dove le guardie ti riempiranno di botte e ti metteranno ai ceppi in attesa di una condanna a dieci anni di lavori forzati”.
In questo breve dialogo tra Francisco, capitano della spedizione, e Ramòn, liberato dalle patrie galere e reclutato come cacciatore assieme alla giovane Linda, emergono due fatti:
- Il problema di procurarsi il nutrimento durante la marcia nella giungla.
- Il motivo per cui Ramòn era in prigione (la caccia di frodo nella riserva del re) e il motivo per cui Francisco lo ha liberato per arruolarlo (evidentemente era un ottimo cacciatore).
Gli stessi fatti, descritti in forma indiretta come preambolo del capitolo, erano risultate lunghi e anche piuttosto noiosi. Non va dimenticato neppure che la spedizione di Francisco è composta da una decina di persone, ciascuna con un passato turbolento. La trama principale, il viaggio, sarebbe stata appesantita non poco da continui flashback fatti da me, pertanto ho deciso di rivelare tutto su ciascuno poco alla volta, molto spesso in questo modo diretto.
Da “La Città Perduta degli Aztechi”
Terminata una cena a base di pesce e mais in suo onore, Francisco si adagia su una coperta stesa sulla sabbia a guardare le stelle. Jana siede accanto a lui.
“Hai l’aria soddisfatta” commenta, versandogli da bere.
“Certo. Abbiamo una guida e l’amicizia del popolo maya” risponde lui.
“Quando pensi di andare a trovare i Totonachi?”
“Ricordi il racconto di Sicher? Una loro grande città a nord, Xalapa, si trova proprio sulla strada percorsa dalla spedizione di Felipe Galindez”.
“Torniamo a Coatzacoalcos?”
“In tempo per festeggiare il Santo Natale, poi proseguiremo per Tenochtitlàn. Devo incontrare al più presto Montezuma il Giovane”.
“Vuoi fartelo amico?” chiede Jana, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Non c’è altra soluzione, se vogliamo esplorare indisturbati il suo impero”.
“Vorrei che questo nostro viaggio non finisse mai. Stare con te durante queste avventure, prima a Hispaniola e adesso in questa terra sconosciuta, è inebriante”.
“Personalmente trovo inebriante anche l’idea di stare con te nel mio palazzo di famiglia in Spagna. Cosa ne pensi?” chiede Francisco.
“Scusami, è già tardi e ho promesso a Marcos di aiutarlo a finire di tracciare la mappa della costa che abbiamo percorso in questi giorni” dice Jana, alzandosi di scatto. Francisco la osserva perplesso mentre si allontana di buon passo dal falò senza riuscire a spiegarsi la ragione di quell’improvviso cambiamento di umore.
In questo dialogo tra i due protagonisti maschile e femminile della saga, vengono toccati brevemente due temi importantissimi:
- La pianificazione delle prime mosse di Francisco nel Messico inesplorato.
- L’inizio di una divergenza di vedute della coppia sul loro eventuale futuro al termine della missione.
Il piano di viaggio, scritto inizialmente in forma indiretta, mi era risultato più lungo e noioso con un’infinità di nomi di località in più che ho preferito inserire durante il tragitto, non prima. In questo breve dialogo, invece, l’apprendimento dell’itinerario risulta molto più scorrevole (Coatzacoalcos è una città del Messico, esiste ancora oggi. Tenochtitlàn, invece, è l’attuale Città del Messico).
Il secondo dialogo, invece, sostituisce una lunga descrizione introspettiva della perplessità di Jana, donna semplice di origini contadine ed ex fuorilegge, di fronte al suo inserimento nell’alta nobiltà spagnola. Lei ama Francisco come uomo libero dai vincoli e dalle imposizioni della vita di corte. A questo breve scambio ne seguiranno altri disseminati durante l’intera storia fino a sviscerare l’intero problema senza, spero, annoiare o appesantire l’avventura.
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