La vendetta è un bisogno, il più intenso e profondo che esista, e ognuno deve soddisfarlo, non fosse che a parole. Se lo soffochiamo, ci esponiamo a turbe gravi. Più di uno squilibrio – forse addirittura tutti gli squilibri – scaturisce da una vendetta che abbiamo troppo a lungo differito. Osiamo esplodere! Qualunque malessere è più sano di quello provocato da una rabbia accumulata.
(E.M. Cioran)
L’Angelo vendicatore – Racconto di Giovanni Mandruzzato pubblicato sul volume “Tremenda vendetta” di Morellini Editore – incipit
Milano, 30 ottobre 1817. Villa Belgiojoso-Bonaparte.
Il capitano Marco Ziani si avvicinò all’uomo steso sull’erba. Osservò la sua fronte squarciata, le pupille dilatate rivolte al cielo privo di stelle e la scia di sangue defluita nel laghetto illuminato dalle lanterne a gas. Fece spazio al medico legale e cercò il taccuino nelle tasche dell’uniforme, ma estrasse solo un lapis.
«È il primo sintomo della dementia precox» commentò il dottor Carlo Vercesi.
«Non sono molto incline allo scherzo quando vengo svegliato nel primo sonno. Hai qualcosa di intelligente da dirmi?»
«La vittima è stata uccisa da un colpo di fucile. Il cranio non presenta foro di uscita. Guarda tu stesso.»
«In dieci anni di guerra ho visto cose peggiori. Mi dai il tuo taccuino?»
Il capitano disegnò la pianta di Villa Belgiojoso, la lussuosa residenza assegnata ai governatori del Lombardo-Veneto in carica, e del grande parco delimitato dalle mura di cinta.
«Non c’è luna, ma la visuale è perfetta» commentò, al termine della stesura.
«Il conte Porro ha scelto una notte priva di luce per il collaudo delle sue nuove lanterne a gas. A differenza di quelle a olio, illuminano il parco come se fosse giorno, le avessi io nella sala autopsie della Cà Granda.»
L’investigatore tracciò dei cerchietti in corrispondenza delle aree del parco non illuminate dalle lanterne. Sottolineò in particolare una fitta boscaglia situata vicino a uno dei muri di cinta.
«L’assassino deve avere sparato da questa zona. Cosa ne pensi, dottore?»
«L’angolo di tiro è compatibile con la ferita. Conosco un solo uomo capace di colpire un bersaglio da oltre cento metri in piena notte, hai un alibi?»
«Me lo procurerò quando ti avrò sparato. Nel frattempo recupera il proiettile, verrò a prenderlo in ospedale domattina alle otto.»
«Ho già due cadaveri da esaminare. Perché dovrei darti la precedenza?»
«Perché la vittima è il maggiore Josef von Merville, eroe di guerra e candidato nuovo governatore del Regno Lombardo-Veneto.»

Con l’Angelo Vendicatore, l’autore si cimenta per la prima volta in un racconto di 30 cartelle e 60000 battute facente parte di un’antologia di sei storie noir eseguite da sei diversi scrittori.
Sono sei racconti con il tema della vendetta, movente comune dei crimini descritti.
L’Angelo Vendicatore è un piccolo sequel di Intrigo a Milano, romanzo ambientato nel primo ventennio dell’ottocento, all’epoca del regno Lombardo-Veneto di austriaca memoria.
Come in “Intrigo a Milano”, il racconto presenta una accurata ricostruzione ambientale, arricchita dalla presenza di personaggi storici accanto a quelli di fantasia.
I luoghi dell’indagine sono noti a tutti i milanesi doc: villa Belgioioso Bonaparte ( oggi villa comunale di via Palestro ), l’ospedale Cà Granda ( oggi Università degli Studi ), il Castello Sforzesco, casa Porro Lambertenghi e il ristorante Boeucc. Tra i luoghi che non esistono più si ricordano il teatro Re, la contrada dei Tre Monasteri e via San Giovanni alle Case Rotte, nomi suggestivi e romantici di una città che fu.
A fianco del capitano triestino Marco Ziani, rivedremo il milanesissimo sergente Paolo Sangalli, il medico legale Carlo Vercesi e l’archivista della polizia Anna Molinari. A loro si affianca, in qualità di consulente esterno, Henri Beyle, alias monsieur Stendhal, francese di nascita e milanese d’adozione. Un altro personaggio storico di spicco è il conte Luigi Porro Lambertenghi. Fu lui a collaudare un nuovo sistema di illuminazione notturna tanto efficace da permette all’assassino di sparare al futuro governatore di Milano in piena notte da oltre cento metri di distanza.
Silvio Pellico, segretario e precettore dei figli del conte, e le affascinanti cugine Carlotta e Teresa Marchionni ( attrici di teatro ) completano la rassegna dei personaggi storici del racconto.
Da L’Angelo vendicatore
Milano, 31 ottobre 1817. Ospedale maggiore.
Il cortile centrale della Cà Granda era immerso in una nebbia fitta come un muro di pietra. Riconosciuto il contorno sfumato degli archi a tutto sesto del Filarete, Ziani si diresse verso il padiglione di medicina legale dove l’amico Carlo Vercesi era di turno. Il suo laboratorio abbondava di provette e preparati disposti sul bancone nel consueto modo caotico.
«Non vengo nel tuo regno da tempo, ma c’è la stessa oscurità, lo stesso disordine e la stessa puzza» commentò, sfilando il soprabito militare.
«Se preferisci la lavanda, ti porto in sala autopsie. Ho impiegato ore a estrarre quel maledetto proiettile da un cervello ridotto in pappa. »
«Hai notato altre ferite sul cadavere?»
«Non ha cicatrici né esiti di traumi, il che è insolito per un eroe di guerra.»
«Impossibile, più che insolito!»

Josef Merville, un eroe di guerra candidato al ruolo di governatore di Milano, non presentava alcuna ferita rimediata in battaglia, a parte quella mortale di Villa Belgiojoso. Quale segreto nascondeva?
L’archivista Anna Molinari riferì a Ziani che
la carriera militare di Merville rimase anonima fino a quando non fermò la cavalleria francese di Beauharnais con appena cento uomini a protezione della ritirata austriaca sul fiume Mincio. Unico superstite dell’eroico battaglione, fu promosso e decorato sul campo.
«La battaglia del Mincio, 8 febbraio del 1814; io ero nel reggimento Duka, a Peschiera» ricordò il capitano.
La funzionaria riferì che Merville venne ferito da un colpo di fucile mentre, con un suo soldato, stava cercando di nascondere il forziere delle paghe della divisione Pflacher. I francesi lo ritennero morto e si presero il denaro, così l’anonimo fratello di un generale di divisione divenne l’eroe che permise la ritirata austriaca nel quadrilatero. Dopo il congedo, intraprese una promettente carriera politica.
Stendhal, tuttavia, disponeva di un’altra versione dei fatti:
«L’assenza di lesioni sul cadavere conferma i sospetti del generale francese che mi scrisse il rapporto sui fatti del Mincio descritti nella scheda: il vostro cosiddetto eroe se l’è svignata con le paghe della divisione Pflacher. Questo spiegherebbe l’improvvisa ricchezza che gli garantì l’ascesa politica.»
Chi, oltre a Stendhal, era al corrente dei veri fatti del Mincio? Chi aveva un’ottima ragione per vendicarsi di un uomo che ha costruito la sua brillante carriera su una menzogna? Sotto quali sembianze si cela l’angelo vendicatore a cui Marco Ziani dovrà dare la caccia?
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