Un amico è un regalo che fai a te stesso.
George Gordon Byron
Da Intrigo a Milano, capitolo X.
«Sono l’oberleutnant Marco Ziani della polizia militare austriaca. Ho qui la dichiarazione di due guardie civiche di servizio alla Pinacoteca Ambrosiana che vi hanno visto tentare di rubare una … ciocca di capelli.»
Ignorando lo sguardo commiserante di Byron, Ziani prosegue la lettura.
«Una ciocca di capelli di Lucrezia Borgia. Vi hanno colto sul fatto, ricordate?»
Ziani osserva il viso di Byron per la prima volta.
Rimane colpito soprattutto dalla forma oblunga della testa, il naso lungo ma perfetto e le labbra sottili.
I capelli sono folti e le basette, contrariamente all’uso inglese, poco evidenti.
«Bene, siete stato bravo a ricostruire i fatti. Ora posso andare? Voglio parlare con la mia ambasciata.»
«Non credo che vi convenga, milord, ho letto un dossier dettagliato sui vostri rapporti con la Camera dei Lord e sul motivo del vostro esilio.»

Byron, improvvisamente paonazzo, esplode in uno scatto d’ira.
«Avete letto il solito cumulo di menzogne su di me e, come tutti, mi giudicate senza sapere chi sono io veramente o perché vivo in un modo che la società ipocrita e benpensante non approva. Caro signore, io oso fare alla luce del sole quello che gli altri fanno di nascosto. Voi giudicate ciò che non conoscete!»
«Bene, ne prendo atto. Aiutatemi voi, allora!» risponde, calmissimo, Ziani.
«Aiutarvi?»
«Si, milord, fatemi capire chi siete senza leggere un dossier su di voi.»
Dopo una breve pausa, fissando Ziani negli occhi, il poeta inizia a declamare:
“Per ogni lido il nome suo Fama ha tremenda: altro quelli non chiedono né sanno.
Rare le sue parole, ma acuto è l’occhio e pronto è il braccio.
Mai condisce con gioia quei gioviali conviti,
Ma quel silenzio gli perdonan in virtù delle sue gesta.
Giammai per il suo labbro la purpurea coppa van colmando,
E il nappo passa innanzi a lui non degustato;
E di tal sorta è il pasto suo che il più rude uom della sua ciurma
Di assaggiare perfin disdegnerebbe;
Il pane più comune che vi sia, del domestico orto le radici,
È qualche frutto che dell’estiva stagion è la ricchezza,
Quella mensa frugale riforniscon
Di ciò che un eremita non potrebbe rifiutare”.
Byron fissa Ziani con un ghigno beffardo, ma questi ribatte:
“Ma nel fuggir dei sensi le gioie grossolane,
Par che di tale astinenza il suo spirito nutra.
“A quel lido drizzate!”. Ed essi vanno. “Fate così”. E presto è fatto.
“E ora dietro a me in compatta schiera!”
E il saccheggio è compiuto.
Pronti sono i suoi detti e pronti gli atti,
È ciascun vi obbedisce e i pochi che ardiscon far domande
Breve risposta e disdegnoso sguardo
Da lui ricevon qual unica rampogna”.
Vedendo Byron con gli occhi spalancati dallo stupore, Ziani aggiunge:
«Dal canto primo del Corsaro, un poema davvero indimenticabile.»
«Signore, voi mi sbalordite! Conoscete a memoria le mie opere e …»
«Prima che rimaniate deluso, milord, vi confesso che le ho lette tutte, ma la mia recitazione a memoria è valida solo per le mie preferite, tra cui il Corsaro, la storia di un pirata che, come in tutti i cliché del romanticismo, cela la sua vera natura appassionata dietro modi crudeli e scostanti, proprio come fate voi.»
Quelli che non vogliono ragionare, sono bigotti,
quelli che non possono, sono degli sciocchi,
e quelli che non osano, sono degli schiavi.
Questa era l’opinione di Byron della maggioranza degli esseri umani, a cui non concedeva facilmente la propria amicizia. Per questa ragione, nel romanzo, rimase così colpito dalla personalità dell’insolito poliziotto che lo aveva arrestato, a tal punto da diventarne un amico quasi inseparabile.

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