I protagonisti de “La regina di denari”

GIANNOZZO SALAMON

Provveditore alla zecca di Cattaro (attuale Kotor, Montenegro), città capoluogo dell’Albania Veneta, provincia della Repubblica Serenissima di Venezia.

Indifferente al clima eccellente e alla natura incontaminata, Giannozzo provava rabbia e invidia per i colleghi della zecca di Venezia, con cui avrebbe condiviso volentieri l’acqua alta, i dolori reumatici, i miasmi e le pantegane pur di partecipare ai loro floridi commerci con l’Oriente.

Mentre quei maiali prosperavano, lui svolgeva le mansioni di provveditore dell’inutile zecca di Cattaro, capoluogo dell’altrettanto inutile provincia dell’Albania Veneta, uno sputo di territorio montenegrino in cui nemmeno i turchi avevano mai pensato di espandersi.

Rammentò il giorno della sua umiliazione nel Palazzo Ducale di Venezia. Rivestito da un mantello in damascato color porpora, si trovava al centro della sala del Maggior Consiglio, in presenza del Doge e delle autorità cittadine al completo. Il mastro conestabile, iniziando a srotolare una pergamena, proclamò:

“Sior Giannozzo Salamòn, il Consiglio dei Dieci ha accolto la vostra richiesta di titolo nobiliare. Questo è lo stemma della vostra dinastia che, con l’aiuto di Dio, potrete tramandare alle future generazioni”.

Il mento del premiato collassò letteralmente di fronte a due grossi salami incrociati a ics con una testa di maiale su sfondo rosa e il motto, rigorosamente in latino, assegnato alla dinastia Salamòn di cui lui sarebbe stato il capostipite: edamus, bibamus, gaudeamus. Uno stemma inaccettabile assegnato a bella posta!

Giannozzo aveva preparato la sua rivincita per lungo tempo e ora era pronto: la vendita di cinque milioni di luigini ( monete amate dai turchi ) all’Impero ottomano l’avrebbe reso così ricco da comprare non solo i consensi per la gestione delle finanze della Serenissima, ma anche la sovrintendenza dell’opera dei Camerlenghi con buona pace dei suoi detrattori veneziani.

SEBASTIANO MOLIN.

Avvocato, consigliere legale di Giannozzo e ideatore della truffa trasformerà il suo cliente nel funzionario più ricco della Serenissima.

“Mio caro Gian, come uomo di legge di pluriennale esperienza in materia di normative nazionali e oltralpe sulla compravendita di merci, nonché esperto in diritto di conio e di statuti sulle norme di navigazione e…”

“Stringi, mastega brodo!”

“Dopo un esame lungo e approfondito della situazione, sono giunto alla inevitabile conclusione che l’unico modo per uscire da questa situazione… bada bene, l’unico e il solo è… organizzare una truffa”.

“E ci volevi proprio tu per questo!” sbraitò Giannozzo, gettando un faldone di documenti a terra. “Affondare la Costanza Guerriera e vendere i luigini falsi ai turchi prima dello scoppio dello scandalo non è una truffa?”

“Sì, ma non è intelligente. Le autorità veneziane e ottomane non sono mica nate ieri, per non parlare di quel segugio di conestabile che ti ha messo gli occhi addosso… la truffa, come la vorresti fare tu, non funzionerebbe mai. Invece…” proclamò l’avvocato, iniziando a sogghignare con le gambe accavallate.

“Vuoi divertire anche me invece di trastullarti come un ebete?”

Con un sorriso compiaciuto, Molìn gli consegnò una pergamena.

Mercante di Durazzo interessato all’acquisto di cinque milioni di luigini freschi di zecca per trattativa privata con la Sublime Porta. Offerta base di uno scudo per dodici luigini. Se siete interessati scrivete a questo nome e indirizzo, eccetera eccetera”.

“Niente male davvero. Tu, con una falsa identità, hai richiesto cinque milioni di luigini in questa inserzione”.

“E qualcuno, credendo di fare un colpaccio, li comprerà sottobanco dal provveditore alla zecca, cioè te, per rivenderli all’ipotetico acquirente, cioè me, a un valore maggiore. E tu scomparirai nel nulla quando il furbone cercherà di rifilarteli”.

“Esatto”.

“Giusto, ma perché una bella truffa riesca ci vuole un furbacchione, un dritto che non veda l’ora di truffare gli altri. Qualcuno che caschi in una trappola che si è costruito con le sue mani”.

 Chi sarà questo furbacchione?

LA REGINA DI DENARI.

alias LADY ELEANOR LYTTON, alias un numero imprecisato di identità.

“L’ho trovato, anzi, l’ho trovata io. Vieni alla finestra” lo interruppe l’avvocato, indicandogli un quartetto di persone riunite al centro della piazza del mercato. Strizzando gli occhi, Giannozzo identificò, a dispetto della miopia, la giunonica signora Bice con un cappello di paglia bianco latte decorato con motivi floreali.

Ti ga la scagiòla( forfora ) non solo nei capelli, vuoi truffare mia moglie?”

“Ma no, guarda bene! Ci sono anche Fiorenza e un uomo anziano con il mantello, che so essere il segretario della dama che sta parlando con tua moglie”.

“Di quale dama vai cianciando? Non vedo nessun altro!”

“La donna elegante, alta e magra con la pelle bianca come il latte, i seni dritti e sodi scolpiti da Fidia, gli occhi verdi come due smeraldi, i capelli lunghi corvini e il vestito crema che si adatta perfettamente a due chiappe sode che sembrano fatte di marmo di Carrara” suggerì Molìn, già in estasi.

“E come faccio a vederla che è coperta interamente dal cappellaccio orrendo del mostro? Smetti di esaltarti come un ebete e scostati” ordinò Giannozzo, allontanando l’avvocato con una spinta.

“Passami il binocolo” aggiunse, strizzando gli occhi per focalizzare la figura femminile alta e snella di fronte alla signora Bice. Ricevuto lo strumento, lo puntò senza indugio verso il centro della piazza.

“Non si vede un casso, ancora meno che a occhio nudo. Ma possibile che questi prodigi moderni non funzionano mai? Quell’idiota di mia moglie ha speso una fortuna per portare a casa, oltre a quel cappello grande come il suo vaso da notte, questa cosiddetta grande invenzione delle mie bale rotte”.

“Guarda il cannocchiale dall’altro lato, Gian” lo interruppe Molìn, voltando lo strumento dalla parte delle lenti più piccole.

“Eh-eh-eh. Stavo scherzando” si giustificò il provveditore, mettendo a fuoco la schiena della moglie.

“Immagino… Guarda che esemplare, non è magnifica?”

“Chi? Mia moglie? Tu hai grossi problemi, Molìn!”

“Quell’altra! Guarda che classe, che portamento, persino quando si soffia quel bel nasino all’insù con un fazzoletto di pura seta. Cosa darei per sollevare quella sottana e mettere le mani…”

“Smetti di sbavare come un vecchio cagnaccio sdentato. Ti chiedo uno squalo e tu mi fai vedere una pollastra d’alto bordo che, peraltro, fa amicizia con mia moglie?”

“Possibile che tu non conosca lord Lytton, defunto marito di quella signora, almeno di fama?”

“E perché dovrei conoscerlo?”

“Per l’abilità con cui ha truffato mezza nobiltà inglese, compresi i reali, a tal punto da avere meritato l’appellativo di king of the cheats, il re degli imbrogli. Colto in flagrante a Londra, Lytton fuggì a Parigi con la moglie prima del suo arresto”.

“Stringi, posapiano. Cosa ha a che fare la vedova di un truffatore con i miei luigini?”

“Arrestato a Parigi, Lytton fu rispedito in Inghilterra e giustiziato, ma la moglie, che non era indagata, proseguì per Marsiglia, Genova, Milano, Venezia e persino Malta. So che fu coinvolta ovunque in faccende poco pulite da cui uscì sempre indenne. Pare che le sentenze dei giudici fossero precedute da interrogatori privati e… decisivi, ecco, per il proscioglimento della nostra queen of the money, la regina di denari, come fu battezzata dopo la scomparsa del marito”.

“Perché regina di denari e non degli imbrogli?”

“Vince sempre alle carte. Potrebbe campare di rendita solo con il gioco”.

“Bravo, Molìn. Hai trovato la preda giusta”.

Ma sarà la preda giusta?

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